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Gender Gap & Gender Equality – Come ha influito il Covid-19

Gender Gap & Gender Equality

Come ha influito il Covid-19 sulle disparità di genere

Un’analisi McKinsey mostra che, durante la pandemia, i posti delle donne sono quasi il doppio (1,8 volte) più a rischio rispetto a quelli degli uomini. Le donne ad oggi rappresentano il 39% dell’occupazione globale ma rappresentano il 54% delle perdite complessive di lavoro (dati di Maggio 2020). Le donne sopportano il peso della salute e della cura dei figli, attività per cui non vengono pagate. Questo periodo di arresto si aggiunge agli ultimi cinque anni in cui non ci sono stati progressi tangibili verso la diminuzione del gender gap e della promozione della gender equality nella società.

CEO, leader e responsabili politici devono agire per ridurre rapidamente questa disuguaglianza di genere. Sono tre le azioni immediate che vanno intraprese: 

  • Analizzare i numeri: i posti di lavoro persi all’interno delle aziende o le richieste di congedo più alti tra le donne?
  • Nuove assunzioni: sono state inserite procedure che tengono conto della diversità di genere all’interno dell’azienda? 
  • Policy interna: sono applicate delle policy per garantire servizi che aumentino la parità di genere? 



I progressi verso una riduzione delle disparità di genere, negli ultimi cinque anni, hanno subìto una battuta di arresto e la pandemia mondiale del Covid-19 non ha fatto altro che aiutare a fermare questo processo. Rischiamo di invertire la rotta e tornare indietro sui passi faticosi in avanti degli ultimi anni. 

L’analisi McKinsey mostra che le donne hanno 1.8 volte in più di possibilità di perdere il lavoro rispetto agli uomini. Il 54% delle perdite di posti di lavoro a Maggio 2020 erano di donne, che rappresentano solo il 39% dell’occupazione globale. 

Sulle donne è ricaduto e continua a ricadere il peso sociale della cura della casa e della famiglia; questo è un passo indietro non solo per il progresso sociale mondiale, ma anche per l’economia e le imprese. Si stima che il mancato interessamento delle aziende per questo problema costerà una crescita del PIL globale inferiore di 1 trilione di dollari nel 2030. Se, al contrario, ci si impegnasse per ridurre il gender gap si potrebbero aggiungere 13 trilioni di dollari al PIL mondiale del 2030; una via di mezzo porterebbe ad aggiungere 5 trilioni di dollari.

La ricerca McKinsey ha portato alla luce come implementare politiche aziendali a favore della diversità di genere, sia una chiave di successo finanziario. Solo nel primo quadrimestre del 2020, le aziende con team equilibrati avevano il 25% di probabilità in più di avere successo e quindi una redditività superiore rispetto ad aziende che non ne avevano. Le aziende che credono che la diversità e l’inclusione potrebbero limitare la loro crescita, rischiano di mettersi in una posizione negativa rispetto a chi ha capito i vantaggi e le potenzialità di avere al proprio interno stili di leadership diversi e prospettive, talenti e competenze varie e trasversali.

Invertire la tendenza portata dal Covid-19 di tagliare posti di lavoro femminili, non è solo un problema aziendale ma significa rivedere gli investimenti fatti da ogni Paese nell’ambito dell’istruzione, della politiche familiari, dell’inclusione digitale e dell’assistenza non retribuita. La spesa pubblica dovrebbe aumentare dal 20% al 30% per poter sostenere questo processo ma soprattutto se ne guadagnerebbe da sei a otto volte a livello economico, in base alla spesa sociale stabilita.
L’investimento è la chiave, ma è solo l’inizio.

 

Cosa succederà dopo la crisi del Covid-19?

Le stime della MGI (McKinsey Global Institute) fatte nel 2015 sull’economia della parità di genere a lavoro, avevano analizzato quindici indicatori di gender equity su quattro categorie; tali analisi indicavano che la crescita economica era fortemente legata all’uguaglianza di genere anche nella società. Secondo lo studio di MGI la parità di genere non può aumentare se non diminuisce il gender gap all’interno della società, quindi la prima non è realizzabile senza la seconda.


Nonostante gli studi e la consapevolezza che la parità di genere vada sostenuta, tra il 2014 e il 2019 sono migliorati solo alcuni di questi valori, tra cui la mortalità materna, il numero di assunzioni e la rappresentanza politica. Tuttavia non sono dati sufficienti per ridurre la disparità, continua a esserci troppa disuguaglianza al’interno della società. Il budget lavorativo per l’occupazione femminile è ancora di molto inferiore a quello maschile e con il Covid-19 le donne hanno dovuto sopportare e supportare l’impatto economico che c’è stato e che continua ad esserci.
I settori che hanno avuto maggiori perdite sono quelli che hanno il più alto impiego femminile, come la ristorazione e il settore alberghiero. Negli USA, ad esempio, si stima che il 54% di posti di lavoro persi era ricoperto da donne.

 

Cosa ci dicono tutti questi dati?

L’aspetto fondamentale di questi dati è che non vengono contemplate tutte le spese sanitarie che le donne hanno dovuto sostenere a causa della pandemia, non tengono conto delle spese sostenute per l’assistenza agli anziani, la cura dei figli, la cucina o le pulizie.

Il Covid-19 chiaramente ha aumentato il divario delle responsabilità familiari, delegandole ancora di più alle donne.
Anche l’imprenditoria femminile ha avuto un arresto importante: le microimprese hanno subito una forte battuta d’arresto e la crisi ha evidenziato che il lavoro di una donna sia più sacrificabile all’interno della famiglia, anche a causa della differenza salariale.
Secondo i dati di World Values Survey, in alcuni Paesi dell’Asia Meridionale, del Medio Oriente e dell’Africa, in situazioni di scarsità di posti di lavoro, il pensiero comune è che l’uomo abbia più diritto di una donna ad ottenere un lavoro. 

 

I prossimi passi?

La ricerca McKinsey dà delle indicazioni chiare su come politici e leader debbano agire in questo momento: la rapidità di intervento e la promozione della parità di genere devono dare l’impulso al cambiamento. Le aree dove deve assolutamente ridursi lo squilibrio sono:

  • la responsabilità della cura della famiglia e dell’assistenza all’infanzia, con un riconoscimento del lavoro non retribuito; 
  • colmare il divario digitale, differente per ogni Paese;
  • la lotta contro i pregiudizi con campagne di sensibilizzazione, perché la parità di genere sia una vantaggio e un progresso sociale ed economico.

Per le aziende?

Lo studio McKinsey non si limita ad elencare le aree su cui concentrare gli sforzi ma dà dei suggerimenti ai CEO di tutto il mondo per spingerli ad agire:

  • Analizzare: i CEO devono conoscere e riconoscere il gender gap aziendale e capirne i motivi.
    Alcune domande da fare e dati da analizzare: Le richieste di ferie sono più alte tra le impiegate donne? Le donne ricevono promozioni adeguate? Le nuove assunzioni tengono conto delle differenze di genere? 
  • Agire: dopo aver analizzato i dati, occorre mettere in campo delle soluzioni tangibili.
    L’azienda ha agevolato il lavoro agile ed è stata flessibile durante i periodi prolungati di lockdown? Abbiamo considerato l’impatto della pandemia sui dipendenti e le dipendenti? Chi ha sta assumendo nuovo personale, ha attuato nuove pratiche di selezione? Abbiamo assicurato ai dipendenti il giusto sostegno per la salute e il benessere mentale stabilendo dei confini tra il lavoro e la vita familiare?  
  • Valorizzare: ultimo step da compiere è quello di valorizzare le diversità.
    L’azienda offre servizi che valorizzano le diversità di genere? I prodotti sono studiati per raggiungere sia professionisti che professioniste? Le aziende che producono progetti digitali tengono conto dei diversi mindset?

     

MGI conclude la ricerca con un monito per tutte le aziende:


Una maggiore parità di genere è un bene per l’economia e la società mondiale. Se si agisce ora per rimuovere i numerosi ostacoli a una maggiore partecipazione femminile alla forza lavoro e dare un ruolo più importante all’interno della società allora quest’ultima ne potrà trarre benefici sia economici che sociali. Se non si agirà subito, i benefici diminuiranno e probabilmente ci sarà una regressione.

 

Conclude – Parity is powerful. It needs to move forward – La parità è potente, bisogna portarla avanti.


Per approfondire:
Articolo MGI sul Covid-19 

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To Increase Diversity, U.S

To Increase Diversity, U.S

Se l’industria tecnologica vuole affrontare i suoi problemi di vecchia data con la diversità nei suoi ranghi, le aziende tecnologiche potrebbero dover andare dove vivono talenti diversi, non il contrario. 

 

Allora, dove dovrebbero guardare queste aziende? Dati elaborati su dove vivono i laureati neri, Latinx e STEM; dove il minor costo della vita rimuove alcune barriere all’ingresso; e dove l’infrastruttura digitale è affidabile e abbastanza economica da favorire il lavoro a distanza, questo articolo identifica sei stati – Georgia, Texas, Delaware, Virginia, Connecticut e Maryland – che si collocano in alto nel punteggio Tech Talent Diversity e sono al di fuori della tecnologia tradizionale cluster di California, New York e Massachusetts.

 

 

Non è un segreto che la tecnologia abbia avuto un problema di diversità e inclusione di lunga data. 

L’omogeneità del settore non è solo un problema superficiale, è probabilmente la causa principale di molti problemi più grandi che affliggono la tecnologia. Ha implicazioni per la giustizia e l’equità; si traduce anche in difetti devastanti nei prodotti del settore. Considera ingiuste tecnologie di riconoscimento facciale che esacerbano la discriminazione nei confronti di persone di colore o di cuffie per realtà virtuale, progettate principalmente da e per uomini, che potrebbero causare nausea alle donne. Questi sono solo due esempi di prodotti in un settore con una diversità di prospettive insufficiente nella progettazione del prodotto. Ora, in mezzo alla crescente pressione sociale, l’industria si impegna a intraprendere nuovi passi per ridurre il suo persistente divario di diversità.

Le aziende tecnologiche hanno fatto promesse simili in passato, ma hanno avuto scarso successo nel mantenerle. Si consideri il caso di Google, che è stato tra i più trasparenti quando si tratta di sfide. La sua percentuale di dipendenti provenienti da ambienti sottorappresentati si è mossa a malapena nel periodo tra il 2014 e il 2018. Nel frattempo, dal 2016, è passata attraverso tre responsabili della diversità. Il rapporto annuale sulla diversità di Google per il 2020 mostra qualche miglioramento, ma è ancora lontano da qualsiasi parvenza di equilibrio: il 5,5% dei dipendenti si identifica come nero o nero e qualsiasi altra razza e il 6,6% si identifica come Latinx o Latinx e qualsiasi altra razza e il 32,5% dipendenti identificarsi come donne. Google non è atipico; i suoi colleghi del settore hanno statistiche altrettanto distorte. Amazon e Apple mostrano percentuali relativamente più elevate di dipendenti Black e Latinx a causa della maggiore rappresentanza di tali comunità nelle unità di vendita al dettaglio e di magazzino di queste società.

 

Ma ora, la pandemia e i cambiamenti che ha determinato nel modo in cui viene svolto il lavoro offrono un’opportunità senza precedenti per una svolta. 

 

Un ostacolo sul percorso per colmare il divario di diversità è l’estrema concentrazione geografica delle aziende tecnologiche, che limita la capacità del settore di connettersi, reclutare e trattenere i talenti da un pool ampiamente disperso. Il settantacinque per cento dei finanziamenti in capitale di rischio è concentrato in soli tre stati – New York, California e Massachusetts – e oltre il 90% della crescita del settore dell’innovazione ad alta intensità tecnologica tra il 2005 e il 2017 si è verificata in sole cinque aree metropolitane, di cui quattro – New York, Boston, San Francisco e San Jose – si trovano in questi tre stati.

Anche se le società tecnologiche vanno oltre queste località per assumere talenti, è più difficile convincere reclute da una parte diversa del paese, specialmente quelle provenienti da comunità sottorappresentate, a trasferirsi.

 

 

boston Foto di Jimmy Woo su Unsplash

 

Le loro reti sociali e i loro sistemi di supporto sono altrove e la concentrazione di lavoratori tecnologici fa aumentare il costo della vita nelle località dei cluster, come la Bay Area o Boston. Le aziende hanno avuto difficoltà a convincere le reclute a trasferirsi nella Bay Area, ad esempio, e due terzi degli attuali dipendenti tecnologici affermano che lascerebbero la Bay Area se potessero, secondo un recente sondaggio.

Per rendere veramente il settore più inclusivo, le aziende tecnologiche devono lasciar andare i loro pregiudizi geografici e cambiare il modo in cui reclutano, organizzano i team e consentono ai dipendenti di lavorare. Poiché le aziende sono passate al lavoro a distanza durante la pandemia – e forse per sempre – le aziende tecnologiche dovrebbero immaginare una strategia di reclutamento e fidelizzazione mirata a talenti provenienti da luoghi lontani dai soliti cluster. (Se lo stanno già facendo, dovrebbero raddoppiare questa strategia.) Anche se la tendenza del lavoro da casa non decolla su tutta la linea, l’attuale entusiasmo crea una finestra di opportunità per ridurre il divario di diversità reclutando gruppi sottorappresentati e conservandoli.

 

img con cellulare che dice 'opportunity knocks'
Foto di Dylan McLeod su Unsplash

Identificare le opportunità

Per avere successo dove ha fallito in passato, l’industria tecnologica ha bisogno di un nuovo approccio per trovare e trattenere i talenti. Suggeriamo di iniziare con l’incontro di reclute di alta qualità dove si trovano senza essere vincolati dalla geografia e identificare le regioni che hanno anche le condizioni adatte per trattenere tali talenti.

Nell’ambito della nostra iniziativa di ricerca, Imagining a Digital Economy for All (IDEA) 2030 (istituita in collaborazione con il Mastercard Center for Inclusive Growth e il supporto del Mastercard Impact Fund), abbiamo sviluppato due misure chiave: Una è la “diversità dei talenti tecnologici” “Punteggio che analizza la proporzione di gruppi sottorappresentati nella pipeline tecnologica (utilizzando laureati in materie STEM o relative a STEM come proxy per la pipeline di talenti rilevanti per il settore tecnologico) e come viene distribuita negli stati negli Stati Uniti La seconda misura è un punteggio di “preparazione digitale” per ogni stato degli Stati Uniti, che acquisisce attributi chiave come la facilità di lavorare da casa nello stato, la disponibilità di servizi pubblici online e l’accesso inclusivo a Internet. Abbiamo mappato questi punteggi rispetto a due fattori socioeconomici critici che contribuiscono all’attrazione e alla fidelizzazione: il costo della vita e la proporzione della forza lavoro statale nel settore tecnologico, creando così la sensazione di una rete professionale vicina e solidale.

I risultati offrono approfondimenti che possono facilitare le strategie delle aziende tecnologiche per ridurre il divario di diversità e agire. Le aziende possono utilizzare questa analisi non solo per indirizzare le proprie risorse di reclutamento nelle regioni che dispongono di riserve di talenti diversi, ma anche per identificare quelle regioni che favoriscono la conservazione dei talenti e il mantenimento della loro produttività. Questo aiuta a creare una tabella di marcia per organizzare una forza lavoro diversificata e dispersa. I risultati dell’analisi vengono catturati nel grafico sottostante.

 

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L’auto-empowerment femminile come strumento di equità sociale: la storia di Madame C.J. Walker

L’auto-empowerment femminile come strumento di equità sociale: la storia di Madame C.J. Walker

“I endeavour to provide employment to hundreds of women of my race”.

Madame C. J. Walker

L’imprenditrice afroamericana Breedlove, meglio conosciuta come Madame C.J. Walker, fondatrice nel 1910 della Walker Manifacturing Company, rappresenta ancora oggi un esempio per manager ed imprenditori che vogliono promuovere l’equità nei loro luoghi di lavoro.

Foto: Archivi Michael Ochs/Getty Images

Una storia di emancipazione

Figlia di mezzadri della Lousiana, madre e vedova a 20 anni, C.J. Walker è stata lavandaia e cuoca prima di diventare una ricca imprenditrice di successo, con un patrimonio che alla sua morte fu stimato in 600.000 dollari (pari a 6 milioni di dollari di oggi).

Come molte donne, a causa delle precarie condizioni igieniche del tempo, soffriva di caduta dei capelli, per questo sviluppò un proprio shampoo e una pomata ed iniziò a venderli porta a porta insieme al secondo marito.

In seguito sviluppò un modello di business di cui l’equità razziale era parte integrante e che, per questo motivo, contribuì in maniera significativa all’emancipazione delle donne afroamericane.

Tale modello di business si basava su tre elementi fondamentali:

  • Partecipazione;
  • Mobilità;
  • Educazione.

Il modello partecipativo d’impresa

Innanzitutto, Walker ha organizzato la propria impresa secondo un modello partecipativo finalizzato a rendere le sue agenti di vendita, le Walker Agents, delle vere e proprie co-proprietarie.

Ogni agente di vendita, infatti, poteva acquistare i prodotti Walker all’ingrosso e venderli al dettaglio, così da incrementare i propri profitti.

Il successo sul lavoro e l’indipendenza economica ha consentito a queste donne di far sentire la propria voce e renderle consapevoli dei propri diritti.

Foto: Everett Collection, Shutterstock. Fonte: Twitter/Pinterest

La mobilità economica

In secondo luogo, ha intenzionalmente favorito la mobilità economica in quanto convinta che rappresentasse lo strumento migliore per superare le barriere razziali, di genere ed economiche che lei stessa aveva sperimentato e dunque ben conosceva.

Ha costruito veri e propri corridoi di carriera in grado di far progredire la comunità, ad esempio sostenendo le sue agenti nell’avvio di spazi di vendita, finanziandoli completamente o prestando denaro con piani di rateizzazione convenienti.

Ha promosso una cultura solidale basata sull’empatia; questo ha consentito, ad esempio, ad una sua agente che aveva perso tutto in un incendio, di ricevere un contratto, l’autorizzazione a vendere per conto dell’azienda ed un piano di pagamento per acquistare nuovi prodotti nonostante le perdite che aveva subìto.

L’importanza della formazione

Infine ha finanziato e promosso opportunità educative per i dipendenti, in un momento storico in cui le leggi costruivano un sistema di caste razziali che negava agli afroamericani l’accesso all’istruzione.

Le scuole di bellezza e i corsi erano sia occasioni di formazione che strumento per creare professioniste del mercato del beauty; avere un diploma ed una certificazione da una scuola Walker significava spezzare le catene del lavoro umile e conquistare la libertà economica.

Foto: Collection of the Smithsonian National Museum of African American History & Culture

Le partnership con college ed istituti tecnici hanno spinto le istituzioni a creare laboratori per insegnare il programma Walker, con vantaggi per gli stessi college, le donne e la comunità tutta.

La formazione ha reso le donne afroamericane più sicure di sé ed ha promosso l’attivismo.

Walker ha stabilito una norma aziendale che organizzava le agenti di vendita in sezioni locali sotto un’associazione nazionale, così da legittimare la cultura della bellezza come professione, rafforzare i legami tra le agenti e incentivare le opere di beneficenza e di difesa della comunità.

L’eredità di Madame C.J. Walker

Walker credeva che l’impatto sociale generato avrebbe creato un’eredità al di là del business ed in effetti è stato così: i suoi valori e il suo marchio continuano a vivere dopo un secolo dalla sua morte.

Nel 2013 la società di bellezza Sundial Brands ha acquisito le linee di prodotti di Madam C.J. Walker e ne ha lanciato la distribuzione a Sephora.

Nel 2015 la Sundial ha ottenuto la certificazione B-Corporation, rendendo Sundial e il marchio Walker parte di una comunità imprenditoriale che lavora per ridurre la disuguaglianza e la povertà e costruire comunità più forti.

Infine, nel 2017, la vendita di Sundial a Unilever ha dato vita alla New Voices Foundation, che promuove la parità di genere e l’imprenditorialità femminile anche con programmi formativi.

La ex tenuta di Walker sul fiume Hudson, trasformata in un centro di formazione, accoglie i borsisti della fondazione che a loro volta promuovono l’equità attraverso il proprio lavoro.

“Using business as a force for good”

Nel 1932 il celebre giurista americano E.M. Dodd affermava: “(…) business is permitted and encouraged by the law primarily because it is of service to the community rather than because it is a source of profit to its owners” (Harvard Law Review).

Ci sono voluti quasi 80 anni per veder nascere negli Stati Uniti, nel 2010, le Benefit Corporation (B-Corporate) come forma giuridica; qualche anno in più affinché diventassero una realtà anche in Italia, dove oggi se ne contano più di 500, secondo “Società Benefit”, un sito di informazione sulle Società Benefit curato da B Lab e AssoBenefit.

Impegnandosi concretamente a generare un impatto positivo sulle persone e sull’ambiente, le B-Corporate rappresentano una vera e propria rivoluzione etica nel mondo del business.

E noi non possiamo fare a meno di pensare all’impulso che è riuscita a dare a questa rivoluzione una giovane donna di umili origini della Louisiana, con la straordinaria forza di una semplice convinzione: “My object in life is not simple to make money for myself ”.

Per approfondire:

  • Il libro Madam C. J. Walker’s Gospel of Giving: Black Women’s Philanthropy During Jim Crow” di Tyrone McKinley Freeman disponibile qui.
  • La serie “Self-Made: la vita di Madame C.J. Walker”.